martedì 6 settembre 2011

A year later. Primi bilanci.

2.44 della notte. Temiamo di soffrire di insonnia. Ieri notte dormimmo un'ora sola, in preda tutta la notte a irrisolvibili domande esistenziali, risposte senza domande, sudori equatoriali e macabre visioni. Quest'oggi ci lamentammo tutto il giorno per la stanchezza. Ma ora eccoci qua.
La verità è che quando inizi a darti del noi come Lapo Elkann vuol dire che qualche problemino c’è.
La verità è che sono passati un anno e una settimana dal mio ritorno dall’anno negli Usa.
Eccoci qua dicevamo. Mi ero svegliato per andare al bagno. Mi ero svegliato per andare al bagno con gli stessi dubbi e le stesse parole da cercare sul dizionario di un anno fa. E mi sono accorto che dovevo scrivere. In fondo col silenzio si chiacchiera meglio no?.
Non mettevo nome utente e password per scrivere su questo blog dal 27 agosto 2010. Un po’ mi sono emozionato. Era il giorno di “Curtain Falls. Giù il sipario”, il mio post di chiusura. Mi apprestavo a tornare in patria dalla mia famiglia dopo un anno. Ed ero ubriaco di vodka. Lo ricordo bene, come fosse ieri. Vestito a festa, con le valigie pronte sul pavimento a 1 metro da me. Il tizio del front office dell’Ayres Hotel mi chiamò in camera per dirmi che il mio taxi era pronto. Camera numero..Ok, non ricordo che numero fosse, ma era la stessa in cui tutto era iniziato 300 giorni prima. Quando avevo 19 anni. Neo diplomato. Solo in un continente diverso. Pronto ad iniziare a lavorare in una lingua diversa. Io che non avevo mai lavorato.
La verità è che quanto sono stato incosciente l’ho capito solo recentemente. Ora che di anni ne ho 21. Sembra una cagata. Ma qualche esperienza, qualche sberla in faccia dalla vita, qualche esami universitario e pelo sul petto in più e delirio di onnipotenza in meno fanno tutta la differenza del mondo. Oggi non so se avrei il coraggio di rifarlo. Oggi avrei paura.
Ricordo quando dopo un paio di settimane iniziai ad accusare il colpo. Una domenica chiamai casa per fare una chiacchierata. Sentii le posate in sottofondo. 19 anni di pranzi insieme la domenica, e ora ero solo dall’altra parte del mondo a combattere la mia sfida. Non ero pronto. Semplicemente perché a quell’età non c’è maniera, di essere pronti per qualcosa di simile. Però tenni duro, imparai l’inglese, lavorai, viaggiai, mi ingozzai di cheeseburgers e tornai dopo un anno. Ma ricordo che quella domenica piansi a dirotto, solo, nel mio appartamento al 2216 di Broadway Avenue. Un giorno ad Atlanta zio Jim mi mise un guantone da baseball e mi disse “dai lancia, vediamo se sai lanciare anche se sei italiano”. Dovevamo essere in qualche concessionario a lavorare ma non ricordo per quale strano motivo eravamo al parco. Mi è venuto in mente scrivendo “cheeseburger” sulla tastiera del pc ma non so perchè.
La verità è che quello era il periodo più bello della mia vita. Beh quel giorno mica tanto in realtà.
Poi sono tornato. E non è stato mica facile sapete. Fare 6 esami di università in un anno anziché l’impiegato 8 ore al giorno è immensamente più facile. Ma non parlo di ora. Quando sei un ragazzetto dall’altra parte del mondo i tuoi amici ti cercano su facebook per chiederti se hai imparato l’inglese e ora lo parli come Clint Eastwood, se è vero che a Los Angeles non fa mai freddo, se Obama è veramente nero come appare in tv o mulatto tendente al beduino, se si vede mai Halle Berry passeggiare a Beverly Hills con tanto di bassotto a guinzaglio. Se un coca malibu a Hollywood costa come al Rumbling Scottish Pub di Cerea(Vr). E tu gli rispondi che a Hollywood si beve solo tequila, non cocastocazzo. E li deridi. E ti senti fico. Poi dopo qualche mese ti chiedono se ti hanno dato la cittadinanza o hai intenzione di tornare, se hai ancora lo stesso timbro della voce. Se ti ricordi chi sono loro o hai scordato i loro nomi. Poi ti chiedono consigli se investire in azioni o obbligazioni manco tu fossi Keynes 40 anni più giovane. E ti senti ancora più fico.
Poi torni. E quando ti cercano in chat ti chiedono se per caso hai preso appunti a macroeconomia. O se fai aperitivo alle 18 al solito bar. E capitemi. I coglioni un pelo ti girano. Io l’ho chiamata “sindrome di ritorno dal Vietnam”. Rimasugli di deliri di onnipotenza. Forse è vero. Non si cambia mai.
La verità è che va tutto bene. Buona rendita universitaria. Rido, bevo, mangio. Non come Pannella ma più regolare.
Potrei parlarvi di altre cose successe in questi 12 mesi. Potrei parlarvi di sangue, sperma e cene a base di grigliata e Custoza, ma temo vi annoierei. Troppo spesso queste tre cose sono coincise. Potrei parlarvi dell’ignoranza della campagna rispetto alla città ma lo sapete già, chi più chi meno. Potrei parlarvi dei problemi offensivi dei Bulls ma mi farei del male da solo. Potrei parlarvi di come ogni donna abbia un sapore diverso a letto. Ma sono sottigliezze che non tutti gli uomini riescono a comprendere, e sarebbero perle ai porci.
La verità è che ormai ho 21 anni e mezzo quasi.
Quando avevo 4 anni da grande volevo fare il pompiere ma non ricordo il motivo. Quando avevo 6 anni volevo fare lo sbirro perché guardavo “Hunter”. Quando avevo 10 anni volevo fare il calciatore. Perché Giorgione Weah era il mio primo idolo sportivo anni prima di Gregor Fucka e Lance Armstrong. Mica perché già allora i calciatori giravano in Lambo. Quando avevo 16 anni da grande volevo fare il magnaccia come Tony Montana. Tornare a casa la sera con una pallottola nelle costole e la camicia insanguinata e sbraitare “Dannazione Margareth, mi hanno rovinato una camicia da 400 dollari”. E tirarmi fuori la pallottola con le mani, bevendo un bicchiere di scotch noncurante del sangue che gronda. Quando avevo 19 anni volevo fare l’imprenditore. E per questo partii per gli Usa. Era Ottobre e guardavo le bici passare sul lungomare ad Huntington Beach, masticando una chewingum per sentirmi più americano. Quando avevo 20 anni e mezzo ripresi la mentalità italiana, e volevo fare il senatore a vita mantenuto dallo Stato. Mi sono bastati gli ultimi mesi per cambiare idea. Penso riprenderò la strada dell’imprenditoria. Con sobrietà. Appurato io l’abbia mai lasciata, quella strada. Con umiltà. Appurato io l’abbia mai avuta, l’umiltà.
Un po’ come zio Shaun, il mio ex boss. Un uomo che guadagna 300 mila dollari l’anno e che un giorno a pranzo davanti un teryiaki chicken mi chiese come si dice in italiano “fart”. “Scoreggia”. Gran personaggio, tuttavia. Ecco, quel giorno capii di non essere il più deviato, dentro quegli uffici. Ma ormai non conta più.
Il mio maestro indu Arshad un giorno presentandomi ad un suo amico indiano disse: “This guy can do everything”. “Questo ragazzo può arrivare dove vuole”. Mi sono domandato più volte quest’anno se fosse vero. Probabilmente no. Ma per la risposta definitiva temo ci vorrà un po’. Probabile ci metta prima Silvio ad uscire dalla politica.
Volevo solo metter giù due righe. In realtà mi son dilungato.
Se pensate io abbia bisogno della neuro, premete 1. Ieri notte mi pareva fosse entrato un tizio incappucciato con un’ascia in mano, nella mia camera, verso le 4. Prenderò i due tizi in camice bianco armati di camicia di forza come un lieve miglioramento.
Signori, il mio inchiostro sta finendo.
Intanto vi auguro parzialmente almeno, la buona notte. Chiudo questo blog per la seconda volta nella mia vita. Non sapremo mai quale sarà quella definitiva fino a quando blogspost cancellerà questo blog per inattività prolungata, ma diciamo mi duolerebbe alquanto nel caso accadesse.
Anyway. Imperterrito per la mia strada,
Sempre vostro,

P.M