lunedì 27 agosto 2012

Dall'altra parte del filo spinato

Mi chiamo Pietro Mirandola e sono uno stronzo.
Stronzo forse non è l’aggettivo giusto. Ma è il primo che mi è venuto in mente e suona piuttosto fluido. Fluido come Richard Gasquet quando impatta di rovescio incrociato a una mano. Lui, il suo rovescio, e i suoi brufoli. Dicevo, mi chiamo Pietro Mirandola e sono uno stronzo. Me lo fece notare per primo un tale ad un semaforo, un anno fa, forse anche di più. Andava a passo di mulo fino che il semaforo divenne rosso. Io mi affiancai strombazzando allegramente il clacson per fargli notare che sei lui non ha fretta non significa che gli altri plebei con cui condivide la strada non ne abbiano, e lui di risposta mi definì come poc’anzi detto, unito a qualche altro insulto mal assortito, fuori tempo, mai in rima e metricamente sconclusionato. Assomigliava terribilmente a Sid Vicious, ma i finestrini fra noi erano troppi per farglielo notare, cosi mi limitai a paragonare sua madre a non ricordo quale bestia della savana. Per quello invece i finestrini non sono mai troppi.
Mi chiamo Pietro Mirandola e sono uno stronzo. Sono uno stronzo perché sono passati due anni esatti dal ritorno dal mio anno a stelle e strisce e magari credete che ora mi metta qua a raccontarvi di nuovo dei tempi in cui attraversavo l’Arizona da solo a bordo della mia Nissan Altima pagato a ore come tutti gli stagisti immigrati. Io, il mio rovescio, e i miei brufoli. Ah no, quello era Gasquet. Ma di racconti come questo sto blog ne è pieno e sarei solo la parodia di me stesso. Come Bonolis per Totò, come l’uomo in calzamaglia per l’uomo nero.
Sono uno stronzo perché vado ancora cercando un filo logico. Ti diplomi, giri la pagina e ti trovi allo Staples Center a dieci metri dal parquet grazie a dei biglietti aziendali a masticare chewing gum e a raccontare al portoricano che ti siede accanto come il tuo inglese sia ormai pretty good, mentre poco più in la un babbeo quasi qualunque come Ron Artest tenta invano di metterla dai 6 e 25. Giri la pagina e ti trovi ad ascoltare una lezione di macroeconomia rimpiangendo i tempi in cui raccontavi al portoricano dei progressi del tuo inglese, e lui masticava il suo hotdog annuendo sornione, e tutto era così ovattato. Ho sempre odiato i centro americani perché a far casini giù a LA erano sempre e solo loro. Con il tempo ho imparato a farmi i cazzi miei e evitare certi sguardi che fomentano l’ira. D’altronde, anche qui i terroni te li immagini ancora camicia aperta, orologio d’oro, mazza in mano e via in giro a cercar di rubarti l’autoradio, poi invece te li ritrovi dall’altra parte della cattedra a testare gli alunni inadempienti. Poi succede che sfracellano navi sugli scogli finche fanno i casanova ubriachi trattando il timone come fosse il joystick della play, ma sull’argomento ho già espresso la mia in altre sedi.
Giri la pagina di nuovo e ti trovi accovacciato sul letto di un appartamento popolare e arredato alla buona di una città politicamente nemica, con in mano un arnese dal verdetto quasi immediato: una striscia blu, una rossa (come quelle dei carabinieri), e un libretto delle istruzioni che a differenza di quelli dei farmaci tutti leggono, mentre nella stanza a fianco i due coinquilini anarco-cula rollano la canna ignari. E poi posi l’arnese dal verdetto facile, e sei costretto a dispensare abbracci che non consolano. E poi insulti e minacce, un film a quanto pare nella mia vita piuttosto ricorrente. Giri pagina ancora e nella noia di fine inverno seguente ti trovi un sabato notte in zona industriale finche un ammasso di ricci fa su e giù dal tuo basso ventre. Tu guardi fuori la pioggia scendere in maniera distaccata pensando in realtà a come dare una cazzo di svolta a sta palla di merda deforme detta vita. E pensi che un buon inizio sia avvertire il fidanzato della tipa la cui boccuccia fa su e giù dal tuo basso ventre che la situa gli sta leggermente sfuggendo di mano. Poi succede che questo anziché ringraziarti se la prende. E via di insulti e minacce atto 54. E io replico sempre perché fa molto tutto più Chicago anni ‘20, e l’idea me lo manda terribilmente duro. Giri nuovamente la pagina e ti trovi a 22 anni candidato consigliere comunale alle amministrative. E calici in alto. E tartine ai gamberetti. E pacche sulle spalle. Giri pagina e “quando mi hai chiamata stavo rileggendo Kundera, la parte in cui descrive la bellezza della città di New York. Ti ho pensato per forza”. Neanche il tempo stavolta di girarla la pagina che succede che ti trovi una domenica pomeriggio di inizio estate a guardare il sole calare da un campo di grano. E frasi fatte ma neanche tanto, e fazzoletti, e specchietti in frantumi. E sai che da quel momento in poi tutto ciò che ti resterà saranno solo i ricordi intrappolati nelle pupille. Andare avanti bisogna, e basta. Come il mulo quando riceve la frustata. Come Dorando Pietri moribondo tra gli applausi della gente. Londra, 1908. Volendo girare la pagina ancora succede che ti ritrovi a girarti un coltello Ikea tra le mani, ma non credo di aver voglia di raccontarvi cosa ci facessi seduto per terra con un coltello Ikea tra le mani, e il perché mi trovassi proprio la. E perché proprio Ikea (?). Stronzo io che cerco il filo logico, dicevo. I miei obiettivi restano i medesimi. Se per assurdo siete arrivati a leggere fin qui e vi state domandando quali siano i miei cazzo di obiettivi nella vita, li trovate sparsi tra le pagine di questo blog, ma non sbizzarritevi con la fantasia, sono piuttosto comuni, lineari e commerciali. 22 anni e qualche vizio più di Cristo sono tutto sommato pochi, e in mezzo vi si trova ancora il filo spinato. Al di la di esso, ciò per cui vi andate alzando ogni mattina. I vostri progetti a lungo termine, per venire incontro alle vostre capacità intellettuali e mettervela giù in parole semplici. Anzi, a medio termine. Nel lungo siamo tutti morti. Ma torniamo a noi. Il modo in cui un giorno lo varcherete, non conta se non per la cronaca. Ciò che nel frattempo accade, come ho tentato di dimostrare, non segue nessuna logica ne raziocinio. Solo la conseguenza delle vostre manifestazioni di volontà più l’interazione di quella che io chiamo “Variabile doppia C”: l’interazione tra caso e caos.
Il resto, aria fritta. Ho smesso anche di prendermela per i dettagli. Infondo vivo un periodo di transizione, le cose vanno fatte scivolare addosso e basta. A dir la verità ne vivo un po’ troppi di periodi di transizione, come mi fece notare la mammetta qualche giorno fa. Tra i 27 e i 35 l’anno, credo. Più periodi di transizione io che proiettili in un film di Denzel Washington. Voglia improvvisa di marmellata alla fragola. Ora. Ma comunque. Dicevo, ho iniziato ad assegnare un grado di importanza alle situazioni, per non badare a quelle non degne di nota. Altrimenti a breve mi sarei fatto scoppiare la bile, lo sapete come sono fatto, prendo tutto così terribilmente sul serio mannaggiacristo. Un paio di settimane fa mi ritrovavo a mangiare un kebab che non credo troviate nella guida michelin dei kebabbari. Un tipo nel tavolino di fianco mi ha fissato per tutta la durata della mia grama cena. Un tempo mi sarei alzato e sarei andato a domandargli quale minchia fosse il suo problema. Invece no, ho fatto spallucce, mi sono alzato, ho saldato il mio debito di 5 euro con Al Qaeda e me ne sono andato.
Forse sono solo un povero scemo. Un visionario, nato per lo più nell’epoca sbagliata. Forse io sono tra quelli che il filo spinato non lo varcheranno mai, e a 47 anni mi troverò ancora qui ad aggiornare una volta l’anno sto cazzo di blog. E premesse e promesse. Fallite le prime, non mantenute le seconde. Forse invece il filo spinato lo salterò un bel giorno a pie pari, e da li in poi sarò unstoppable come MJ in gara 5 nonostante la febbre. Salt Lake City, 1997.
Forse invece prima o poi la Salernitana tornerà in Serie A (ops, sono andato fuori tema mi sa. Lo diceva sempre la maestra Paola, vado troppo spesso fuori tema. “Racconta delle tue vacanze estive”, io invece finivo col parlar del sapore delle pesche noci ).
Forse tutto procederà all’infinito tra up and down come un’altalena, e non arriveremo mai a una conclusione definitiva.
O forse, aveva semplicemente ragione Sid Vicious al semaforo quel giorno.

P.M.

martedì 6 settembre 2011

A year later. Primi bilanci.

2.44 della notte. Temiamo di soffrire di insonnia. Ieri notte dormimmo un'ora sola, in preda tutta la notte a irrisolvibili domande esistenziali, risposte senza domande, sudori equatoriali e macabre visioni. Quest'oggi ci lamentammo tutto il giorno per la stanchezza. Ma ora eccoci qua.
La verità è che quando inizi a darti del noi come Lapo Elkann vuol dire che qualche problemino c’è.
La verità è che sono passati un anno e una settimana dal mio ritorno dall’anno negli Usa.
Eccoci qua dicevamo. Mi ero svegliato per andare al bagno. Mi ero svegliato per andare al bagno con gli stessi dubbi e le stesse parole da cercare sul dizionario di un anno fa. E mi sono accorto che dovevo scrivere. In fondo col silenzio si chiacchiera meglio no?.
Non mettevo nome utente e password per scrivere su questo blog dal 27 agosto 2010. Un po’ mi sono emozionato. Era il giorno di “Curtain Falls. Giù il sipario”, il mio post di chiusura. Mi apprestavo a tornare in patria dalla mia famiglia dopo un anno. Ed ero ubriaco di vodka. Lo ricordo bene, come fosse ieri. Vestito a festa, con le valigie pronte sul pavimento a 1 metro da me. Il tizio del front office dell’Ayres Hotel mi chiamò in camera per dirmi che il mio taxi era pronto. Camera numero..Ok, non ricordo che numero fosse, ma era la stessa in cui tutto era iniziato 300 giorni prima. Quando avevo 19 anni. Neo diplomato. Solo in un continente diverso. Pronto ad iniziare a lavorare in una lingua diversa. Io che non avevo mai lavorato.
La verità è che quanto sono stato incosciente l’ho capito solo recentemente. Ora che di anni ne ho 21. Sembra una cagata. Ma qualche esperienza, qualche sberla in faccia dalla vita, qualche esami universitario e pelo sul petto in più e delirio di onnipotenza in meno fanno tutta la differenza del mondo. Oggi non so se avrei il coraggio di rifarlo. Oggi avrei paura.
Ricordo quando dopo un paio di settimane iniziai ad accusare il colpo. Una domenica chiamai casa per fare una chiacchierata. Sentii le posate in sottofondo. 19 anni di pranzi insieme la domenica, e ora ero solo dall’altra parte del mondo a combattere la mia sfida. Non ero pronto. Semplicemente perché a quell’età non c’è maniera, di essere pronti per qualcosa di simile. Però tenni duro, imparai l’inglese, lavorai, viaggiai, mi ingozzai di cheeseburgers e tornai dopo un anno. Ma ricordo che quella domenica piansi a dirotto, solo, nel mio appartamento al 2216 di Broadway Avenue. Un giorno ad Atlanta zio Jim mi mise un guantone da baseball e mi disse “dai lancia, vediamo se sai lanciare anche se sei italiano”. Dovevamo essere in qualche concessionario a lavorare ma non ricordo per quale strano motivo eravamo al parco. Mi è venuto in mente scrivendo “cheeseburger” sulla tastiera del pc ma non so perchè.
La verità è che quello era il periodo più bello della mia vita. Beh quel giorno mica tanto in realtà.
Poi sono tornato. E non è stato mica facile sapete. Fare 6 esami di università in un anno anziché l’impiegato 8 ore al giorno è immensamente più facile. Ma non parlo di ora. Quando sei un ragazzetto dall’altra parte del mondo i tuoi amici ti cercano su facebook per chiederti se hai imparato l’inglese e ora lo parli come Clint Eastwood, se è vero che a Los Angeles non fa mai freddo, se Obama è veramente nero come appare in tv o mulatto tendente al beduino, se si vede mai Halle Berry passeggiare a Beverly Hills con tanto di bassotto a guinzaglio. Se un coca malibu a Hollywood costa come al Rumbling Scottish Pub di Cerea(Vr). E tu gli rispondi che a Hollywood si beve solo tequila, non cocastocazzo. E li deridi. E ti senti fico. Poi dopo qualche mese ti chiedono se ti hanno dato la cittadinanza o hai intenzione di tornare, se hai ancora lo stesso timbro della voce. Se ti ricordi chi sono loro o hai scordato i loro nomi. Poi ti chiedono consigli se investire in azioni o obbligazioni manco tu fossi Keynes 40 anni più giovane. E ti senti ancora più fico.
Poi torni. E quando ti cercano in chat ti chiedono se per caso hai preso appunti a macroeconomia. O se fai aperitivo alle 18 al solito bar. E capitemi. I coglioni un pelo ti girano. Io l’ho chiamata “sindrome di ritorno dal Vietnam”. Rimasugli di deliri di onnipotenza. Forse è vero. Non si cambia mai.
La verità è che va tutto bene. Buona rendita universitaria. Rido, bevo, mangio. Non come Pannella ma più regolare.
Potrei parlarvi di altre cose successe in questi 12 mesi. Potrei parlarvi di sangue, sperma e cene a base di grigliata e Custoza, ma temo vi annoierei. Troppo spesso queste tre cose sono coincise. Potrei parlarvi dell’ignoranza della campagna rispetto alla città ma lo sapete già, chi più chi meno. Potrei parlarvi dei problemi offensivi dei Bulls ma mi farei del male da solo. Potrei parlarvi di come ogni donna abbia un sapore diverso a letto. Ma sono sottigliezze che non tutti gli uomini riescono a comprendere, e sarebbero perle ai porci.
La verità è che ormai ho 21 anni e mezzo quasi.
Quando avevo 4 anni da grande volevo fare il pompiere ma non ricordo il motivo. Quando avevo 6 anni volevo fare lo sbirro perché guardavo “Hunter”. Quando avevo 10 anni volevo fare il calciatore. Perché Giorgione Weah era il mio primo idolo sportivo anni prima di Gregor Fucka e Lance Armstrong. Mica perché già allora i calciatori giravano in Lambo. Quando avevo 16 anni da grande volevo fare il magnaccia come Tony Montana. Tornare a casa la sera con una pallottola nelle costole e la camicia insanguinata e sbraitare “Dannazione Margareth, mi hanno rovinato una camicia da 400 dollari”. E tirarmi fuori la pallottola con le mani, bevendo un bicchiere di scotch noncurante del sangue che gronda. Quando avevo 19 anni volevo fare l’imprenditore. E per questo partii per gli Usa. Era Ottobre e guardavo le bici passare sul lungomare ad Huntington Beach, masticando una chewingum per sentirmi più americano. Quando avevo 20 anni e mezzo ripresi la mentalità italiana, e volevo fare il senatore a vita mantenuto dallo Stato. Mi sono bastati gli ultimi mesi per cambiare idea. Penso riprenderò la strada dell’imprenditoria. Con sobrietà. Appurato io l’abbia mai lasciata, quella strada. Con umiltà. Appurato io l’abbia mai avuta, l’umiltà.
Un po’ come zio Shaun, il mio ex boss. Un uomo che guadagna 300 mila dollari l’anno e che un giorno a pranzo davanti un teryiaki chicken mi chiese come si dice in italiano “fart”. “Scoreggia”. Gran personaggio, tuttavia. Ecco, quel giorno capii di non essere il più deviato, dentro quegli uffici. Ma ormai non conta più.
Il mio maestro indu Arshad un giorno presentandomi ad un suo amico indiano disse: “This guy can do everything”. “Questo ragazzo può arrivare dove vuole”. Mi sono domandato più volte quest’anno se fosse vero. Probabilmente no. Ma per la risposta definitiva temo ci vorrà un po’. Probabile ci metta prima Silvio ad uscire dalla politica.
Volevo solo metter giù due righe. In realtà mi son dilungato.
Se pensate io abbia bisogno della neuro, premete 1. Ieri notte mi pareva fosse entrato un tizio incappucciato con un’ascia in mano, nella mia camera, verso le 4. Prenderò i due tizi in camice bianco armati di camicia di forza come un lieve miglioramento.
Signori, il mio inchiostro sta finendo.
Intanto vi auguro parzialmente almeno, la buona notte. Chiudo questo blog per la seconda volta nella mia vita. Non sapremo mai quale sarà quella definitiva fino a quando blogspost cancellerà questo blog per inattività prolungata, ma diciamo mi duolerebbe alquanto nel caso accadesse.
Anyway. Imperterrito per la mia strada,
Sempre vostro,

P.M

venerdì 27 agosto 2010

Curtains Fall. Giù il sipario.

Aug 27th, 2010
Anaheim (Los Angeles Metropolitan Area)
Giorno nr. 302

"Le menti mediocri condannano abitualmente tutto ciò che oltrepassa le loro capacità" (Francois DeLaRochefocauld)

Finisco da dove avevo iniziato. Ayres Hotel, Anaheim, California. Un diciannovenne (allora) ragazzo di provincia appena diplomato catapultato allo sbaraglio in California. 302 giorni fa, entrai da quella porta di questa precisa stanza, la 131 dell'Ayres, e come prima cosa iniziai a scrivere "Giorno 0", il mio primo intervento in questo blog.
302 giorni dopo, dalla stessa postazione, questa stessa scrivania di terza mano, lo concludo.
302 giorni dopo, domani, un Boeing dell'American Airlines mi riporterà in patria.
Tempo di ringraziamenti. Fate le valigie, si torna a casa, mi dissero.
Iniziamo dall'Italia. Iniziamo dai top 2 commentatori di questo blog, che vincono il premio fedeltà 2009-10. C'è zio Alberto a.k.a "il Luke Walton della Verona da bere"..che poverino, è un buon'uomo. E' che vuole diventare un giornalista. Io gliel'ho gia detto. Fra 5 anni sarò in grado di fare meglio di lui il mio lavoro e anche il suo. Fedelissimo del blog e buon personaggio, però. Poi zio Max a.k.a Max Giordan a.k.a il rosso. Un giorno in preda a chissà quali fumi mi ha confidato qual'è il suo lavoro. Non posso confidarvelo. Realmente, è questione di ordine pubblico. Ma mettiamoci anche zio Mirko. Che non è nella top 3 dei commentatori ma ce lo metto lo stesso, per questione di rispetto reciproco. Troppo, per essere validi avversari sul campo, troppo rispetto l'uno nei confronti dell'altro come persone, per infierire sul corpo del rivale.

"Salve Mr. Mirandola, la volevo informare che da quando lei è partito il sottoscritto ha appeso la racchetta al chiodo. Sarà questione di valori. Ma su quel campo finchè lei non torna io nn ci metterò piede. Lode a lei." (M.M)

Magari riprenderemo da dove avevamo lasciato. Sorseggiando una bevanda preferibilmente alcolica, post sforzo fisico, seduti ad un tavolino con il vento tra i capelli. Parlavamo delle nostre impressioni sulle cose e sulla vita, delle scienze e dei saperi, di questo tempo che passava senza nemmeno lasciarci il tempo di renderci conto quanto stavamo invecchiando.
Beh tralasciamo la giornata di oggi, un turbine di sensazioni contrastanti, con come culmine il congedo finale dall'ufficio. In fondo la dentro sono cresciuto, nei primi 6 mesi, ho imparato ciò che era previsto imparassi, ho imparato l inglese (perche l'ho imparato li, dalle 8 di mattina alle 5 d pomeriggio), e ci ho anche sofferto nei momenti difficili.
La sera si è conclusa (e di fatto la mia esperienza americana) con una cena tra colleghi, come per magia i miei preferiti (questione di fortuna), persino zio James da Atlanta e zio John da Phila.
Ma ringraziamo anche zio Shaun e zio Brian. Il secondo, cioè il mio diretto superiore (ex, ormai) rimane un figliodiunabuonasignora nonostante stasera. Ma me lo immaginerò, finche presenziero lezioni universitarie riguardo la relazione prezzo-quantità. Me lo immaginerò, con una birra di fronte al televisore, imprecando contro questi Cubs che infondo non vincono da quando c'era gesu cristo capotavola. In fondo se ho sempre tenuto duro è anche grazie a lui. Magari un bel giorno gli darò indietro le centinaia di dollari di pranzi offerti. Il primo, cioe il General Manager non che numero 1 nell'ordine gerarchico, rimane semplicemente un maestro di vita e di business, in quanto potrebbe scrivere il vangelo sulla Leadership Aziendale senza essere il Presidente. Uno da cui imparare anche guardandolo tagliare la bistecca o masticare semi di girasole, magari a qualche riunione delle 4 del pomeriggio, quando chiunque inizia a mollare le briglie tranne lui, che è ancora in fase di riscaldamente dalle 8 del mattino. O zio Joe, e il weekend a birra, granchi, e pennicchelle sul fiume dal nome innominabile, lassu in Virginia. E poi zio Sonny, e i suoi discorsi filosofici sul lago Michigan, Illinois, nel dopo cena. Ma sua moglie no, non gliel'avrebbe piu ridata nessuno. Vogliamo menzionare qualcuno extra orario lavorativo? Perche non zio Arshad, uno ricoverato in psichiatria in India a 11 anni, troppo stressato nel dividere la giornata tra allenamento di cricket fino alle 7 di mattina, poi scuola e poi lavoro fino alle 10 della sera, non puo non essere un altro maestro di vita, e credetemi, lo era. poi la fuga in Gran Bretagna di nascosto, l'America, la depressione ancora, il permesso di soggiorno, e il suo sogno che in fondo sta ancora vivendo, quello di riuscire a diventare qualcuno nel suo paese. Magari un giorno ci riuscirà, e io sarò il suo primo tifoso. "If you cannot change it, don't worry about it", o "The 90% of the things that worry us, will not happen" o "if it walks like a duck, or sounds like a duck or looks like a duck, it means it's a duck". Il mio maestro indù preferito.
Ebbene, pare che le trasmissioni siano finite. Che dire. Cio che ho fatto, pensato e imparato in questi mesi lo trovate negli interventi precedenti. Vorrei rivivere i primi 3 mesi con la forza mentale di ora, ma non fa niente, non avrebbe senso...nessuno nasce imparato, mi disse un tale. Che dite? se ho ricevuto applausi da casa? No, ed hanno ragione. Si applaude alla fine dello spettacolo, non a metà. E per fine dello spettacolo, non intendo lo spettacolo che finisce domani. Questo e' un po piu a lungo termine. Da lunedi mattina sono di nuovo in ufficio, in Italia, stavolta. Io in vacanza non ci vado mai, ne avò una lunghissima gia prenotata, fra molti anni. E poi si inizia l'università, continuando a lavorare sempre. Entrambi. Mi son proprio bevuto il cervello. Comunque, casa nuova (con la famiglia non ci vivo piu), citta nuova (centro), persone nuove, amici nuovi. Un anno dopo, cambio vita di nuovo. Mannaggia, questo film l'ho gia visto.
Beh, dopo 302 giorni, 27 stati, 50 post, circa 200 commenti, 2000 visite, temo di non avere piu nulla da dire. In fondo spero di aver lasciato qualcosa anche a voi. E infondo magari fra 10, 20, 30 o 40 anni, quando persino non ricorderò di aver vissuto un anno negli Usa mi sveglierò nel cuore della notte, sudato e ansimante, e nel cielo mi parrà di sentire le pale degli elicotteri, come ad Anaheim, California. E la stridula voce di zio Mike nelle orecchie "Distribution, Mike".
Qui sono le 4 del mattino, ora se non vi dispiace me ne torno fuori, sulla Katella Avenue, la strada che ha cullato questo mio anno in USA, a fare l'ultima passeggiata notturna, per cercare di capire ancora una volta di che colore è il buio. Ma stanotte, m sento in grado di dire che profuma di vittoria. Non il buio, quello continua a sapere di Pecorino sardo di qualità deprecabile, ma la Katella Avenue. Poi torno qui, finisco di fare le valigie, metto giu gli ultimi pensieri e resto ancora un po a riflettere, mentre il sipario cala.
Punto.
A capo.

THE END.

venerdì 20 agosto 2010

Pietro Mirandola, 1 anno dopo. Quest'anno ho imparato che.

Aug 20th, 2010
Seattle, Washington State
Dalla VII lettera dell'"Emigrante a tutte le longitudini"
Giorno nr. 295

Beh che dire, spettabili. Dopo 295 giorni, 50 posts, 27 stati diversi, siamo agli sgoccoli. Terz'ultimo post.
Di Chicago ho gia detto la scorsa volta. Top 3 dopo NY e Florida. Una piccola Manhattan piu pulita e ordinata. Manhattan però sempre nel cuore, inammovibile dal numero 1. Seattle si piazza al numero 4, sull'oceano in collina. Un po fresca, ma una piccola toscana. Portland si piazza in mezzo all'anonimato.
Domani aereo per LA e poi in Italia fra 7 giorni, un anno dopo.
La direzione si assume piene responsabilità nel dire che il sottoscritto al quale sarà permesso di parlare in prima persona fra 2 righe è tecnicamente in grado di dire che quest'anno:

-Ho imparato che, vi piaccia o no, i soldi gestiscono la mia vita. Sono il mio presente, il mio motore e il mio fine. Il giorno in cui saranno anche il mio futuro il cerchio sarà chiuso. I soldi mi fanno alzare la mattina da quel letto, anche quando non ho chiuso occhio, e la mia giornata sarà piena di hamburgers, strette di mano e sorrisi di circostanza, e penso di averne avuto abbastanza sia dell'uno che dell'altro, e vorrei restare tutto il giorno inerme in quel letto come un burattino a cui hanno tagliato i fili, ad aspettare che il tempo passi. In giorno in cui vedrò anche i soldi parlarmi insieme, rispondere alle mie domande e colloquiare con me, capirò di essermi definitivamente fottuto il cervello.
-Ho imparato che puoi sentirti solo e troppo distante dal momento in cui rivedrai la tua famiglia. Ma il tempo scorre sempre, come la merda portata dal fiume.
-Ho imparato che la gente è il piu grande spettacolo del mondo, ed a buon prezzo. E il prezzo è la base di tutto.
-Ho imparato che l strada per arrivare al risultato finale è brevissima: 3soli passi. Un ottimo sorrisneo di circostanza a 47 denti, una forte stretta di mano, e l'obiettivo finale: profitto. Il percorso tra il passo 2 e il 3, è un problema tuo.
-Ho imparato che, checchenedica Bertinotti, il capitalismo è sopravvissuto alle zanne del comunismo. In America però, ha iniziato a mangiarsi da solo.
-Ho imparato che, nel caso ti sentissi lontano da casa, in un tunnel senza fine (senza pedaggio però, non come quelli qui) in cui la luce in lontananza sembra troppo lontano, vai il sabato sera all'Ecco di Hollywood. Ordina una tequila patron e bevila tutto d'un sorso senza respirare. I russi si, che l'avevano capito subito.
-Ho imparato che, se mi sono rirovato alle 4 del mattino a camminare vestito a festa sotto l'acquazzone ad hollywood ubriaco fradicio alla ricerca di un hotel, devo essere proprio matto come dicono.
-Ho imparato una cosa incredibile. Il marketing. E' incredibile. Voi non ve ne siete mai accorti, che il link di questi interventi finiscono su facebook sempre nell ora di punta, dove un sacco di persone sono in linea.
-Ho imparato che come dicono gli americani, esistono 3 tipi di bugie: le bugie, le grandi bugie, e le statistiche. Infondo come disse quel tale, se metto la testa in forno e i piedi in freezer, avro sempre una tempreratura del corpo media.
-Ho imparato che l'talia è un gran bel paese, forse il migliore del mondo potenzialmente. Non per nulla si chiama Belpaese. Peccato sia abitato dagli italiani. Obama è americano quanto Berlusconi è un buonuomo. Solo che mentre Obama non puo provare la cittadinanaza americana in quanto non cè certificato esistente e ciò viene insabbiato dai media americani e la notizia non esce dal paese, in Italia misteriosamente il paese va in culo non per colpa degli italiani, ma perche il presidente del consiglio si scopa qualunque cagna infetta e si fa 2 leggi per coprire qualche sbavo vecchio di ventanni. Ah, che bello quando Kennedy si scopava Marylin Monroe e nessuno se ne fregava.
-Ho imparato che le delicate questioni, e il perche di certe cose, non sempre sono come appaiono. Il rapporto causa-conseguenza di cio che succede in alto, non sempre coincide con cio che viene detto. Non c'è un perche. Certe cose non si possono dire. Questo l'ho imparato lavorando in una grande azienda però, non bevendo tequila a hollywood.
-Ho imparato che puoi avere 1000 problemi da affrontare da solo piu o meno facilmente risolvibili, ma finche guardandoti allo specchio le tue mani saranno ancora attaccate ai polsi, le tue orecchie alla faccia e le orecchie alla testa, il bilancio sarà tuttavia ancora positivo.
-Ho imparato che ognuno alla fine dei conti fa cio che vuole. Giudicare le persone, che brutta cosa. Lo diceva anche il colonello Kurtz in Apocalypse Now: "E' il voler giudicare, che ci sconfigge".
-Ho imparato che si, ho smesso di giudicare le donne. Per loro ci sono le frasi scritte dai ragazzini nei cessi pubblici che calzano a pennello *(vedi sotto).
-Ho imparato che si apprezza cio che si ha solo quando non lo si ha piu.
-Ho imparato che guidare attraverso il deserto arizona-texano 4 giorni di fila aiuta a conoscere te stesso. Anche a distingure le cosce di pollo buono da quelle cattive vendute nei distributori di benzina.
-Ho imparato l'inglese, ho imparato ad arrangiarmi e vivere da solo in un continente, a lavorare e muovermi in un'azienda di 200 dipendenti in una lingua diversa, a dare sempre una buona impressione alla persona che si ha davanti, dal barbone di Central Park al General Manager-VP/datore di lavoro. E vi sembra poco?

Sempre vostro,

P.M

*: frase valida per un valore tra il 50 e il 75 percento di esse. Ma non allarmatevi. Se state leggendo questo blog, non è detto che siate nel 25% buono. Ah, dannate percentuali.

martedì 10 agosto 2010

Numeri. Sono solo numeri.

Aug 10th, 2010
Milwaukee (Wisconsin)
Dall' XI lettera dell' "Emigrante a tutte le longitudini"
Giorno nr. 285

Stasera volevo iniziare a tirare le somme, ma non ne ho voglia. Comunque:

B.B: la direzione comunica che questo è il quartultimo post. Il prossimo tra 10 gg a Seattle sarà su tutto ciò che ho imparato negli Usa, poi quello dei ringraziamenti e poi quello finale 5 minuti prima di partire. Ma ho vinto cazzo. Ce l'ho fatta. Ho vinto la sfida con me stesso. Finito il trip lavorativo di 3 mesi e mezzo Los Angeles-Chicago, guidando attraverso 25 stati e vivendo negli hotels. I made it. Se tutto reiniziasse domani mattina mi verrebbe da vomitare, come gia scritto su facebook. Ora si vola a Seattle sabato, poi LA e poi Italia il 27. But I made it.

La Terra promessa.
Domenica sono arrivato alle porte della Chicago dei miei Bulls. Anni che aspettavo questo momento, e mannaggia u diavolo, non sono neancora riuscito a beccare il centro. Domenica, arrivato in Illinois dopo aver passato gli ultimi giorni perso nelle lande della desolata Indiana (pura campagna, spesso colto da conati di vomito e sensazioni di schifo che sale su ogni volta che pensavo alle somiglianze con la mia terra natia), ho intravisto i grattacieli della Windy city da lontano, sull'autostrada. Fermato a fare benzina, vestito di canotta Bulls, sono uscito dalla macchina, mi sono girato verso i grattacieli in sottofondo e per la seconda volta in un mese dopo New York City, mi sono inchinato, unto dal signore. Immensa devozione. Un bel giorno torneremo a vincerlo, quel cazzo di titolo nba.
Attualmente mi trovo per questioni lavorative a Milwaukee (pronunciata Miuàchi anziche il mio Miluòchi di fino a 3 ore fa), ma torno a Chicago domani, dove passerò il weekend scorazzando per il centro aspettando l'aereo per Seattle.
La settimana scorsa sono stato a Buffalo (Cascate del Niagara...un sacco di acqua che vien giu e morta li, che volete che vi dica), Cincinnati, Ohio (non vi perdete nulla) e Indiana come detto. Ah, tra le righe. Uno una volta mi ha scritto in privato "goditela fino in fondo sta vacanza". Benedetto figliolo. Vorrei ricordare al popolo che in tutte ste città ci sono andato con circa 20 colleghi diversi, lavorando. Apprendista, ma la vacanza eccetto le spiaggie della Florida e Manhattan e 3 giorni in California non l'ho mai vista.
Vabbe, ultime 2 settimane. Comunque vada, ho vinto. Sono sopravvissuto a un anno negli Usa da solo a 19-20 anni partendo con una questionable conoscenza dell'inglese, ma suvvia, non perdiamo tempo, di questo vi narrero' negli ultimi 3 interventi.
Anticipo solo che vorrei rivivere i primi 3 mesi con la forza mentale di ora. Non che al tempo fossi una merdina, altrimenti a quest'ora vi starei scrivendo dall'Italia, ma questa è un'altra storia, semmai ve la racconto quando sono vecchio e stanco, con un sigarello in bocca, un bicchiere di Don Patron su qualche spiaggia della Florida.
Posso dire di poter completare la rubrica sulle differenze divertenti tra Italia-Usa cominciata molto tempo fa e che trovate spezzettata nei post precedenti:
-Autostrade: molte gratuite, ed ovunque. Ovunque, si sovrappongono una all'altra. Spesso si prende l'autostrada anche per fare 5 minuti di strada, o andare a cena a 5 miglia di distanza. Ci sono piu autostrade che strade normali. Quell normali sono dritte e a 4 corsie.
-Treni: scarsi e ferrovie limitate. Tutti in macchina alè ohohohò.
-Stipendi: due al mese, cioe uno diviso in 2. Controlli finanza: pochi. Sindacati: deboli. Antonio Di Pietro: merda umana. Barack NObama: pure.

E poi vi regalo un po' di numeri. Avevo in mente già dalla California di farlo. Il mondo è sempre più infestato dalla quantità. Parlare in maniera sensata significa parlare di quantità. Non basta dire che un qualcosa è grande. Quanto grande? Non basta dire che qualcosa è scarso. Quanto scarso? Non puoi sfuggire dalla quantità.
In fondo se qualcosa non puo essere espresso dai numeri non è scienza, ma opinione. E quindi non esiste (vedere mie teorie sulla mente umana di qualche post fa)

37000: come i km percorsi in macchina in 10 mesi (23000 miglia).

1500: come i km di corsa fatti negli Usa la sera. Obiettivo: marathona di NY o Milano entro 2 anni. Senza il jogging non ce l'avrei mai fatta, forse.

520: come i dollari di multa tra limiti di velocita superati, parcheggio su striscie rosse, affitto in ritardo.

circa 500-1000: come le persone che ho conosciuto, tra colleghi, compagni di tennis, semplici persone incontrate durante l'anno, clienti, semplici persone a cui ho stretto la mano.

circa 200: come gli hamburgers mangiati in 300 giorni. Fortunatamente in California mi cucinavo la cena da solo, altrimenti sarei gia morto.

100: come i dollari a sera nei sabati sera hollywoodiani tra locale, cena e hotel. Poi ho smesso, auto taglio delle spese.

31: come gli alberghi in cui ho dormito dall'otto maggio a ora

27: Come gli stati in cui sono stato (me ne mancano 2 attualmente sono a 25): California, Arizona, New Mexico, Texas, Oklahoma, Lousiana, Alabama, Mississipi, Georgia, Florida, South e North Carolina, Tennesse, Maryland, Virginia, New Jersey, New York, Massachuesetts, Connecticut, Delaware, Pennsylvania, Ohio, Indiana, Illinois, Wisconsin, Washington, Oregon.

7: come i mesi che ci ho messo a capire che butt è una parolaccia del linguaggio parlato non inglese regolare, e non potevo metterla nella relazione settimanale per il capo.

6: le persone che ho conosciuto le quali parlavano italiano (4 dei quali italiani)

5: la percentuale della mia vita passata in Usa, tra vivere e vacanze

5: come i mesi che ci ho messo a capire il 90% della tv americana. Attualmente siamo quasi al 100, escluse certe parole isolate

4: le volte in cui ho dovuto spostare le lanciette dell'orologio perche avevo attraversato un fuso orario.

3: le volte in cui sono stato dalla polizia, tutte a Los Angeles: passaporto e portafoglio rubato, denuncia ad ignoti per la tv rubata dall'appartamento californiano a leasing scaduto, la terza rimane top secret.

2: le volte in cui ho eluso il pagamento del pedaggio in autostrada

2: le partite nba viste dal vivo.

1: le volte in cui mi sono preso dello sporco italiano.

1: i momenti in cui stavo per mollare.

1: le volte in cui ho sbattuto la testa contro il muro fino a farmi male per darmi forza.

0: la voglia che ho di tornare li, dove siete voi. Guardatevi intorno, e poi scuotete la testa.

Sempre vostro,

P.M

sabato 31 luglio 2010

Agosto. L'ultimo.

Jul, 31st, 2010
Pittsburgh, Pennsylvania
Dalla X lettera dell "Emigrante a tutte le longitudini"
Giorno nr. 275

Ci sono persone che accettano consciamente o meno i propri limiti e vivono una vita piatta conformizzata agli standard che il mondo propone, accontentandosi di imitare il modello di uomo medio senza infamia e senza lode, curante della famiglia e portante a casa il culo ogni fine del mese. Ci sono persone che invece si pongono un obiettivo, che verra' poi raggiunto o meno, ma che non li salvera' in ogni caso dal trovarsi in un letto vecchi e moribondi sommersi dalle colpe e i rimorsi, aspettando la crociera gratis con Caronte. Ci sono persone che non ce la fanno. Ci sono persone che non ce la fanno per colpa loro, e persone che non ce la fanno per manifesta inferiorita'. Inettitudine, mi disse un tale. Ma su queste persone non infieriro', se madre natura non ti ha dato le ali significa che non e' tuo destino volare. Ci sono persone che decidono di rompere gli schemi, e che possono finire nel secondo o nel quarto gruppo a seconda delle capacita'. E poi ci sono le persone come noi. Persone come il sottoscritto, zio Jim, e zio Sam. Artisti. Artisti di strada catapultati nell'epoca sbagliata. Persone che preferiscono ascoltare se stessi, piuttosto che le parole degli altri. Questo che sta scrivendo ora lo conoscete. Forse. Zio Jim e' un tale da NY, che nella vita ha vinto. Perche' ha vinto cazzo. 9 figli, 10 nipoti che probabilmente diventeranno 20 quando i figli saranno tutti sposati. Mi ha detto che se non avesse trovato sua moglie e non si fosse sposato probabilmente ora sarebbe morto. E' cresciuto a Brooklyn, New York. Mica un posto per venditori di souvenir. "Non e' un paese per vecchi", direbbe Cohen. A 18 anni zio Jim faceva il palo nelle rapine. Ecco, perche se non avesse trovato sua moglie ora sarebbe anche lui, gia in crociera con Caronte. Fino a pochi anni fa faceva due lavori, uno notturno e uno giornaliero, per mantenere i 9 figli. Gente che ha imparato a stare il mondo con le buone o con le cattive. In Italia tutto cio' non sarebbe possibile. Chi e' marcio resta marcio, chi e' buono resta marcio per forza di cose. Vivendo all'estero ci si rende conto che l'Italia e' un bel posto, forse anche troppo criticato. Peccato sia popolato dagli italiani.
Poi zio Sam, ex pilota dell'Air Force americana durante la guerra in Korea. E' rimasto qualche anno anche dopo la guerra, e parla ancora koreano. Mi ha sfatato il mito delle asiatiche mai rasate. Ha detto che per cercare di migliorare il koreano era solito guardare un buffo cartone animato europeo, che non ha mai visto in america. Poi ho scoperto essere Topo Gigio. Mi ha portato a pranzo a little Italy a Boston, due settimane fa. Da un certo "Pagliuca", ristorante italiano con il proprietario che ci ha avvicinato con un "hi brothers" dal deprecabile accento sicilinao. Abbiamo alzato un po il gomito, ma va bene cosi.
Viaggiare con loro va direttamente vicino alla cima della descrizione dell'esperienza culturale nella relazione finale che dovro' consegnare tra 20 giorni.
Tra i personaggi circensi con cui ho viaggiato in questi mesi possiamo mettere altri gia' segnalati due post fa, soprattutto zio Jerry, il 60 enne canadese, un milione di mogli gia avute e che fra poco si risposera' con una musicista ambulante di Rochester. Poi ha gia programmato di divorziare per andare a vivere in europa, Polonia o Romania. Mah. Molte idee, ma ben confuse.

Beh, torniamo a noi. Ultimo mese. Volevo iniziare a tirare le somme stasera, ma non ne ho voglia. Sono gia stato in circa 20 stati. La settimana prossima sara'mortale. 6 citta' in 6 giorni: Pittsburgh, Amhurst, Cleveland, Cincinnati, Detroit e Chicago. Dove vendero' la macchina e volero' a Seattle. 20 stati, una trentina di citta e altrettanti alberghi dall'8 Maggio senza mai fermarsi. 100 giorni mangiando in ristoranti e fast foods. Il mio fegato ha gia fatto la domanda di pensione in quanto reduce di guerra. Prima mi sono guardato allo specchio, non mi sono riconosciuto e mi sono dato del lei. Avevo le occhiaie, gli occhi rossi, la barba lunga e un interessantissimo charme turco-babilonese. Probabilmente ho anche la febbre gialla latente.
Giudizio positivo su Pittsburgh, Philadelphia buona solo se ti credi Tony Montana e cerchi rogne. Un po come Atlanta. Peccato in Pennsylvania piova SEMPRE.
Sono stato multato dall'azienda per 250 dollari per aver dimenticato l'air card in albergo a New York qualche settimana fa. "Non ti preoccupare, puoi mandarci un assegno". Che bello. E' sempre stato il mio sogno, essere multato e mandare un assegno. Ora posso anche andare in pensione e andare a raccogliere noci da cocco in Jamaica.
Ah, ho un aggiornamento per le differenze Usa-Italia. Mi e' stato chiesto su fb di parlare della tecnologia. E come mi e' stato insegnato in questi mesi, il cliente si accontenta sempre. Non c'e' alcuna differenza. Usano gli stessi pc che usate voi in Italia. Tuttora scrivo da quello aziendale ed e' uguale ai vostri laptops. La differenza e' che avendo i computer dall'anno 0, i 60 enni negli Usa sanno usarli come un ventenne in Italia si aggira nei meandri dei software.
Bene, ma neanche tantissimo.
Sempre vostro,

P.M (ancora vivo, se ve lo stavate chiedendo)

martedì 13 luglio 2010

La direzione non ha trovato un titolo adeguato per questo post

Jul 13th, 2010
Somewhere, State of New York
Giorno nr. 256

July, 13th, 2010
Ore 06.30 AM
L’emigrante non ha piu sonno. Da mezz’ora non riusciva a dormire. Ora e’ di fronte alla finestra della sua camera d’albergo che guarda sul retro dell’edifico, ad Albany, NY, e fissa a braccia incrociate un cane randagio che cerca e annusa tra la spazzatura. Pensa che la vita e’ troppo corta per sprecarla nel mondo dei sogni. Di tempo per riposarsi ne avra’ a sufficienza quando sara’ sottoterra a dormire con i vermi.
L’emigrante si sente quel cane randagio. Entrambi non hanno una casa. Dormono in posti diversi ogni giorno. A volte non dormono proprio. Entrambi cenano e pranzano in posti diversi ogni giorno. A volte non cenano e non pranzano. Entrambi incontrano esseri simili ogni giorno, che non incontreranno mai piu’. Per l’emigrante sono visi e volti di passaggio che presto finiranno nel dimenticatoio, per il cane randagio diretti concorrenti per la sopravvivenza. Entrambi non vivranno piu con la loro famiglia. Il cane randagio una famiglia non ce l’ha piu. E queste due sono le prime di tante sottili differenze.
Per un attimo il cane randagio alza la testa e i loro sguardi si incrociano. Per un breve attimo, l’emigrante e il cane randagio sono la stessa cosa. L’emigrante si trova a decine di migliaia di miglia da casa perche ha uno scopo nella vita. L’unico scopo del cane randagio e’ sopravvivere ogni giorno. Svegliarsi e poter dire “cazzo sono ancora vivo”. Come l’emigrante i primi mesi. Ad Anaheim, California. L’emigrante un bel giorno potrebbe anche raggiungere il suo scopo. Il cane randagio probabilmente presto morira’.
Il cane randagio rinuncia a cercare nella spazzatura, si volta, e se ne va scondinzolando. Non si vedranno mai piu.

Ore 10.00 AM
80 gradi Fahrenheit. L’emigrante si trova a bordo della sua Nissan Altima, sulla Highway diretto verso nord. Si ferma in un fast food. Non ha realmente bisogno della colazione. Non ne ha mai realmente avuto bisogno. Ma mangiare uova e pancetta alle 9 del mattina lo aiuta a sentirsi piu americano. Si e’ anche messo a masticare chewingum in continuazione. Il suo inglese e’ peno di “well” e “you know” puro stile americano. Lascia una piccola mancia. Lasciare la mancia negli Usa e’ una legge non scritta, un obbligo morale. L’emigrante di morale non ne ha, se non la sua personale. Lasciare la mancia non ha senso. Ma la lascia sempre lo stesso. Perche’ ha imparato che in fondo al mondo ci sono cose che bisogna fare senza un perche’. Bisogna farle e basta. Torna in macchina, il caldo aumenta e preme l’acceleratore. Il tallone gli duole a causa dei 5 km di corsa giornalieri. L’emigrante pensa che un bel giorno oltre ai suoi sentimenti e emozioni riuscira’ anche a controllare il dolore fisico. Perche questa e’ una delle cose che ha imparato cercando di cavarsela da solo oltreoceano. Le paure, i sentimenti e le emozioni non esistono. Sono tutte frutto della mente umana. Nulla di tutto cio’ esistono realmente. Una volta negata la loro esistenza, tutto per l’uomo diventa piu facile. Il problema e’ che pochi ci riescono, l’essere umano e’ un debole. Un giorno rileggendo filosofia su wikipedia si e’ accorto di ricalcare lo spirito dionisiaco di Nietzsche involontariamente.
A dir la verita’, per un momento l’Emigrante stava per mollare. Gennaio, un fresco e piovoso pomeriggio californiano. L’Emigrante ha rimosso tutti i ricordi. Ricorda solo il corridoio nel sotterrano, la riunione a due col supervisore nello stanzino minuscolo con la luce artificiale. Il verbale di richiamo disciplinare che diceva cose non completamente vere, ma “non mollerai, porterai a termine il tuo anno con noi perche puoi farcela. Ora vai, hai due giorni liberi se vuoi, fuori piove a dirotto, vai a casa e vai a correre sotto la pioggia”. L’emigrante lo fece. Quel giorno non mollo’. Cosa realmente successe non se lo ricorda piu nemmeno lui. Perche ci sono cose che non vanno confessate nemmeno a se stessi, per non lasciare traccia.
In questi mesi l’emigrante ha commesso molti errori. Non poteva essere altrimenti, dato che anziche’ le comodita’ ha scelto di mettersi in gioco. Non sempre chi vince e’ un figo e chi perde un coglione. Perche’ chi vince si rilassa e prostra il fianco al nemico che nella battaglia seguente sapra’ dove colpire.
Una spia gialla sul cruscotto si accende e lo riporta alla realta’. Il suo lavoro gli ha insegnato che significa “check the engine”. Controllare il motore. Per giorni, l’emigrante ha sperato che la sua auto si rompesse nel deserto texano. Per vedere come se la sarebbe cavata stavolta. Ma non e’ mai successo. L’emigrante guarda lo specchietto, e un ghigno si apre sul suo volto. Ha appuntamento alle 11 con un nuovo collega. Un altro volto di passaggio. L’ironia della vita. Un anno e mezzo fa si trovava spensierato nei corridoi del liceo circondato da dubbi irrisolvibili, addirittura preoccupandosi per l’esame di maturita’. Ora si trova negli Usa, non parla italiano da mesi, e’ stato in piu di venti stati americani e incontrato circa cinquecento persone diverse. Un giorno in un distributore di benzina di Houston pensandoci si mise a ridere da solo. Un nero che faceva benzina qualche metro piu in la si uni’ alla sua risata. Prima di capire di non sapere il perche’ stava ridendo, smettere, rimontare e ripartire.

Ore 2.00 PM
Concessionario newyorkese. Completamente cinese, dal proprietario ai venditori ai meccanici, all’odore. L’emigrante ne ha visti centinaia di questi posti da quando e’ partito dalla California, e ormai gli provocano conati di vomito e sudori notturni. In realta’ dovrebbe essere l’emigrante che visita per vedere cosa succede e imparare cose nuove, ma questa volta i cinesi lo sorprendono. A dir la verita’ nulla piu sorprende l’Emigrante, ma facciamo finta di si. Sono loro, che riempiono di domande l’Emigrante. Riguardo chi e’, perche e’ negli Usa. L’emigrante dopo le prime risposte serie inizia a mostrare tutto il suo talento, con risposte ad effetto. Tipo che una business card (biglietto da visita) non ce l’ha ancora (cosa vera), ma che la sua business card e’ il suo viso. Gli viene detto di continuare a inseguire i suoi sogni. Lui risponde che spesso i suoi sogni corrono dietro a lui perche’ faticano a stargli dietro. Ad un certo punto il proprietario cinese cambia discorso e dal business passa ad argomenti tipo politica e religione. L’emigrante risponde che non e’ una gran cosa, parlare di dio con dio. Tutti ridono eccetto l’ultimo dei cinesi nell’angolo. Probabilmente non ha capito la battuta. Problema suo.
Occhi a mandorla dice che il concessionario chiude alle 4 e mezza perche dopo quell’ora il business a New York rallenta. Balle. Dice che i suoi meccanici non portano la mascherina quando verninciano perche lo stato del NY non lo richiede. Balle. Di nuovo. La verita’ e’ che probabilmente in quell’edificio se fosse in Italia non sarebbero a norma nemmeno le prese della corrente e la tavoletta del cesso. Perche’ l’Italia ha molti pregi. Chi ci ha sempre vissuto non puo notarlo.
All’Emigrante il cinese piace. Assomiglia a lui, ma non per i motivi del cane randagio. In cio’ che fa, non v’e’ morale. Non vi e’ sentimento, non v’e’ emozione. Solo il raggiungimento dello scopo.

9.00 PM
L’Emigrante e’ di nuovo a petto nudo a fissare la finestra, ma in un altro albergo in un’altra citta’. Si sente un uomo diverso.
L’ha gia scritto in un altro post del blog mesi fa. Nella vita bisogna mettersi in gioco, il perche non serve che ve lo spieghi io. Si impara anche a conoscere meglio se stessi, ma vi ho appena detto che non serve ve lo spieghi io, e io non mi contraddico mai. Non vi preoccupate, l’umilta’ non l’ho persa. Per averla persa prima bisogna almeno averla avuta. Probabilmente io sono soltanto un pazzo con manie di persecuzione e sonnanbulismo, ma credo in cio’ che dico. Uscite dal guscio e rischiate, male che vada fate la fine del cane randagio...sotto terra a dormire con i vermi.
Chi ha capito e’ partito, il resto fa il tifo.