lunedì 27 agosto 2012

Dall'altra parte del filo spinato

Mi chiamo Pietro Mirandola e sono uno stronzo.
Stronzo forse non è l’aggettivo giusto. Ma è il primo che mi è venuto in mente e suona piuttosto fluido. Fluido come Richard Gasquet quando impatta di rovescio incrociato a una mano. Lui, il suo rovescio, e i suoi brufoli. Dicevo, mi chiamo Pietro Mirandola e sono uno stronzo. Me lo fece notare per primo un tale ad un semaforo, un anno fa, forse anche di più. Andava a passo di mulo fino che il semaforo divenne rosso. Io mi affiancai strombazzando allegramente il clacson per fargli notare che sei lui non ha fretta non significa che gli altri plebei con cui condivide la strada non ne abbiano, e lui di risposta mi definì come poc’anzi detto, unito a qualche altro insulto mal assortito, fuori tempo, mai in rima e metricamente sconclusionato. Assomigliava terribilmente a Sid Vicious, ma i finestrini fra noi erano troppi per farglielo notare, cosi mi limitai a paragonare sua madre a non ricordo quale bestia della savana. Per quello invece i finestrini non sono mai troppi.
Mi chiamo Pietro Mirandola e sono uno stronzo. Sono uno stronzo perché sono passati due anni esatti dal ritorno dal mio anno a stelle e strisce e magari credete che ora mi metta qua a raccontarvi di nuovo dei tempi in cui attraversavo l’Arizona da solo a bordo della mia Nissan Altima pagato a ore come tutti gli stagisti immigrati. Io, il mio rovescio, e i miei brufoli. Ah no, quello era Gasquet. Ma di racconti come questo sto blog ne è pieno e sarei solo la parodia di me stesso. Come Bonolis per Totò, come l’uomo in calzamaglia per l’uomo nero.
Sono uno stronzo perché vado ancora cercando un filo logico. Ti diplomi, giri la pagina e ti trovi allo Staples Center a dieci metri dal parquet grazie a dei biglietti aziendali a masticare chewing gum e a raccontare al portoricano che ti siede accanto come il tuo inglese sia ormai pretty good, mentre poco più in la un babbeo quasi qualunque come Ron Artest tenta invano di metterla dai 6 e 25. Giri la pagina e ti trovi ad ascoltare una lezione di macroeconomia rimpiangendo i tempi in cui raccontavi al portoricano dei progressi del tuo inglese, e lui masticava il suo hotdog annuendo sornione, e tutto era così ovattato. Ho sempre odiato i centro americani perché a far casini giù a LA erano sempre e solo loro. Con il tempo ho imparato a farmi i cazzi miei e evitare certi sguardi che fomentano l’ira. D’altronde, anche qui i terroni te li immagini ancora camicia aperta, orologio d’oro, mazza in mano e via in giro a cercar di rubarti l’autoradio, poi invece te li ritrovi dall’altra parte della cattedra a testare gli alunni inadempienti. Poi succede che sfracellano navi sugli scogli finche fanno i casanova ubriachi trattando il timone come fosse il joystick della play, ma sull’argomento ho già espresso la mia in altre sedi.
Giri la pagina di nuovo e ti trovi accovacciato sul letto di un appartamento popolare e arredato alla buona di una città politicamente nemica, con in mano un arnese dal verdetto quasi immediato: una striscia blu, una rossa (come quelle dei carabinieri), e un libretto delle istruzioni che a differenza di quelli dei farmaci tutti leggono, mentre nella stanza a fianco i due coinquilini anarco-cula rollano la canna ignari. E poi posi l’arnese dal verdetto facile, e sei costretto a dispensare abbracci che non consolano. E poi insulti e minacce, un film a quanto pare nella mia vita piuttosto ricorrente. Giri pagina ancora e nella noia di fine inverno seguente ti trovi un sabato notte in zona industriale finche un ammasso di ricci fa su e giù dal tuo basso ventre. Tu guardi fuori la pioggia scendere in maniera distaccata pensando in realtà a come dare una cazzo di svolta a sta palla di merda deforme detta vita. E pensi che un buon inizio sia avvertire il fidanzato della tipa la cui boccuccia fa su e giù dal tuo basso ventre che la situa gli sta leggermente sfuggendo di mano. Poi succede che questo anziché ringraziarti se la prende. E via di insulti e minacce atto 54. E io replico sempre perché fa molto tutto più Chicago anni ‘20, e l’idea me lo manda terribilmente duro. Giri nuovamente la pagina e ti trovi a 22 anni candidato consigliere comunale alle amministrative. E calici in alto. E tartine ai gamberetti. E pacche sulle spalle. Giri pagina e “quando mi hai chiamata stavo rileggendo Kundera, la parte in cui descrive la bellezza della città di New York. Ti ho pensato per forza”. Neanche il tempo stavolta di girarla la pagina che succede che ti trovi una domenica pomeriggio di inizio estate a guardare il sole calare da un campo di grano. E frasi fatte ma neanche tanto, e fazzoletti, e specchietti in frantumi. E sai che da quel momento in poi tutto ciò che ti resterà saranno solo i ricordi intrappolati nelle pupille. Andare avanti bisogna, e basta. Come il mulo quando riceve la frustata. Come Dorando Pietri moribondo tra gli applausi della gente. Londra, 1908. Volendo girare la pagina ancora succede che ti ritrovi a girarti un coltello Ikea tra le mani, ma non credo di aver voglia di raccontarvi cosa ci facessi seduto per terra con un coltello Ikea tra le mani, e il perché mi trovassi proprio la. E perché proprio Ikea (?). Stronzo io che cerco il filo logico, dicevo. I miei obiettivi restano i medesimi. Se per assurdo siete arrivati a leggere fin qui e vi state domandando quali siano i miei cazzo di obiettivi nella vita, li trovate sparsi tra le pagine di questo blog, ma non sbizzarritevi con la fantasia, sono piuttosto comuni, lineari e commerciali. 22 anni e qualche vizio più di Cristo sono tutto sommato pochi, e in mezzo vi si trova ancora il filo spinato. Al di la di esso, ciò per cui vi andate alzando ogni mattina. I vostri progetti a lungo termine, per venire incontro alle vostre capacità intellettuali e mettervela giù in parole semplici. Anzi, a medio termine. Nel lungo siamo tutti morti. Ma torniamo a noi. Il modo in cui un giorno lo varcherete, non conta se non per la cronaca. Ciò che nel frattempo accade, come ho tentato di dimostrare, non segue nessuna logica ne raziocinio. Solo la conseguenza delle vostre manifestazioni di volontà più l’interazione di quella che io chiamo “Variabile doppia C”: l’interazione tra caso e caos.
Il resto, aria fritta. Ho smesso anche di prendermela per i dettagli. Infondo vivo un periodo di transizione, le cose vanno fatte scivolare addosso e basta. A dir la verità ne vivo un po’ troppi di periodi di transizione, come mi fece notare la mammetta qualche giorno fa. Tra i 27 e i 35 l’anno, credo. Più periodi di transizione io che proiettili in un film di Denzel Washington. Voglia improvvisa di marmellata alla fragola. Ora. Ma comunque. Dicevo, ho iniziato ad assegnare un grado di importanza alle situazioni, per non badare a quelle non degne di nota. Altrimenti a breve mi sarei fatto scoppiare la bile, lo sapete come sono fatto, prendo tutto così terribilmente sul serio mannaggiacristo. Un paio di settimane fa mi ritrovavo a mangiare un kebab che non credo troviate nella guida michelin dei kebabbari. Un tipo nel tavolino di fianco mi ha fissato per tutta la durata della mia grama cena. Un tempo mi sarei alzato e sarei andato a domandargli quale minchia fosse il suo problema. Invece no, ho fatto spallucce, mi sono alzato, ho saldato il mio debito di 5 euro con Al Qaeda e me ne sono andato.
Forse sono solo un povero scemo. Un visionario, nato per lo più nell’epoca sbagliata. Forse io sono tra quelli che il filo spinato non lo varcheranno mai, e a 47 anni mi troverò ancora qui ad aggiornare una volta l’anno sto cazzo di blog. E premesse e promesse. Fallite le prime, non mantenute le seconde. Forse invece il filo spinato lo salterò un bel giorno a pie pari, e da li in poi sarò unstoppable come MJ in gara 5 nonostante la febbre. Salt Lake City, 1997.
Forse invece prima o poi la Salernitana tornerà in Serie A (ops, sono andato fuori tema mi sa. Lo diceva sempre la maestra Paola, vado troppo spesso fuori tema. “Racconta delle tue vacanze estive”, io invece finivo col parlar del sapore delle pesche noci ).
Forse tutto procederà all’infinito tra up and down come un’altalena, e non arriveremo mai a una conclusione definitiva.
O forse, aveva semplicemente ragione Sid Vicious al semaforo quel giorno.

P.M.